venerdì 10 settembre 2010

Fotovoltaico a terra e consumo del territorio nell’Agro Pontino


Negli ultimi mesi sono incessanti le notizie riguardanti la costruzione di parchi solari nel territorio pontino. Ad iniziare dal “parco fotovoltaico più grande d’Italia” in corso di realizzazione ad Aprilia, vediamo spuntare come funghi enormi agglomerati di pannelli fotovoltaici su ettari ed ettari di territorio agricolo, anche nelle zone a più alta vocazione rurale ed agrituristica. Particolarmente increscioso il caso de Le Ferriere, una delle poche aree agricole decentemente conservate nel territorio fra Nettuno, Latina ed Aprilia, per il resto ampiamente devastato e martoriato da ogni tipo di opera impattante (capannoni industriali e abusivismo edilizio dappertutto, lottizzazioni selvagge, discarica di Borgo Montello, Centrale nucleare di Borgo Sabotino, ecc.). Inquietanti poi i progetti per altri parchi nelle campagne di Lanuvio e Campoverde, fra le più integre della nostra zona, “corridoio ambientale e paesaggistico” essenziale fra la Bassa Campagna Romana e l’Agro Pontino.
Così, i parchi fotovoltaici concorrono al consumo del territorio, “divorando” ettari ed ettari di paesaggi agrari e di conseguenza riducendo ulteriormente la biodiversità – già fragilissima - degli ecosistemi locali. Ormai l’ambientalismo più serio ed attento è assai critico nei confronti delle energie rinnovabili allorquando esse contribuiscano al consumo del territorio, e il caso dei parchi fotovoltaici a terra (ma anche dell’eolico industriale su larga scala) è eloquente: cosa hanno di “pulito” interventi che contribuiscono ad “urbanizzare” il territorio, quando è proprio l’urbanizzazione scellerata degli ultimi decenni (in tutto il mondo) la causa prima e concreta delle sempre maggiori emissioni di co2? Si fa man mano largo, invece, una coscienza matura su questi argomenti, che vede sì necessario lo sviluppo massiccio delle fonti energetiche alternative, ma in modo compatibile alla conservazione della biodiversità e degli ecosistemi locali, nonché alla tutela delle zone a vocazione agricola e turistica e della loro delicata economia: solo in quest’ottica il fotovoltaico si configura come una straordinaria risorsa, da incentivare esclusivamente sulle aree già edificate (costruzioni civili e industriali, parcheggi, ecc.) o degradate (è il caso delle discariche).
Premesso che attualmente il Lazio, nel suo complesso, produce più energia elettrica di quanta non ne consumi nei fatti - il che dovrebbe escludere ogni nuova centrale che non consista nella riqualificazione di uno sito già esistente - non vorremmo che a questo punto si aprisse una vera e propria “gara” (da parte di aziende, fra l’altro, per lo più straniere) sul territorio regionale e non solo per la creazione, di volta in volta, del parco “più grande di tutti”. Oppure che – più semplicemente – ogni privato possa ricoprire i propri terreni di pannelli fotovoltaici in barba ad ogni logica di pianificazione, e in stridente contrasto con strumenti regionali come il “Piano di sviluppo rurale” (PSR) o lo stesso “Piano territoriale e paesaggistico” (PTPR). Chi si occupa di tutela dell’ambiente e del paesaggio conosce bene i danni arrecati dal fotovoltaico a terra, non solo ovviamente all’immagine del territorio, ma anche all’indotto turistico dell’agricoltura. Il caso della Puglia è sotto gli occhi di tutti - autorità giudiziarie comprese - per la proliferazione indiscriminata su suoli agricoli pregiatissimi di quelle che sono vere e proprie “centrali” elettriche: del resto il termine “parco” (similmente a quello di “termovalorizzatore”) è il classico ipocrita eufemismo concepito dalla speculazione energetica per “veicolare” meglio nell’opinione pubblica i propri affari).
Nel nostro territorio ci sarebbe bisogno di veri “parchi”, ossia non di quelli che cancellano ecosistemi e paesaggi, bensì di strumenti che operino affinché essi vengano conservati, come i “parchi naturali” o i “parchi agricoli”. Sembra infatti incredibile che, ancora nel 2010, non ci sia alcun progetto di salvaguardia e valorizzazione almeno delle porzioni di maggior pregio ambientale e paesaggistico dell’Agro Pontino (fatte naturalmente le eccezioni, pur limitate come dimensioni, della tenuta di Ninfa e del Parco Nazionale del Circeo)! Tale lacuna è da additare per un verso alla robusta presenza politica, economica e sociale della speculazione edilizia (spesso di oscura matrice) nella Provincia di Latina, e dall’altro alla gestione del territorio da parte di amministratori assolutamente incompetenti. Una situazione “da terzo mondo”, questa, che ha permesso dal dopoguerra ad oggi una sorta di deregulation totale nella realizzazione di qualsiasi tipo di opera sul territorio, senza alcun riguardo per l’impatto ambientale.
In conclusione, per contrastare la proliferazione di parchi fotovoltaici a terra, fenomeno che rischia di stravolgere in pochi anni tutte le aree del territorio pontino a maggiore valenza agricola, paesaggistica e turistica, crediamo sia necessario giungere ad una moratoria che blocchi ogni nuovo impianto, nell’attesa di una pianificazione a livello regionale e nazionale che fissi i limiti e le regole per la diffusione di questo tipo di produzione energetica, che nei modi attuali di “pulito” ha ben poco.

Luca Bellincioni


Post originale: Ambiente e Paesaggio 2000

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